mercoledì 29 settembre 2010

Poi dice che ci vogliono sei mesi…


Se c’è una cosa che disegno controvoglia, sono gli sfondi. I pezzi di arredo, tavoli, librerie, persino la prospettiva delle pareti alle spalle dei personaggi mi annoia. Il mio lavoro ufficiale consiste nel disegnare roba del genere, ogni giorno, da anni; è naturale che, malgrado l’esperienza, poi non abbia alcuna voglia di disegnare le stesse cose anche nel fumetto. E’ il classico caso del figlio del calzolaio che se ne va in giro a piedi nudi. Sono un architetto senza alcuna voglia di disegnare l’architettura quando si tratta di fumetto. Ovvio che poi, a dispetto delle preferenze, l’ambientazione sia necessaria e non sia quasi mai possibile trascurarla.

Sono convinto che l’ambiente ci parli dei personaggi e contribuisca a completare una storia non meno di ogni altro elemento quindi non discuto sulla utilità degli sfondi o delle ambientazioni. Dico solo che a me di passare minuti, a volte ore, a rifinire i dettagli di una fotocopiatrice o di una elaborata poltrona, non frega assolutamente niente. Mi interessano invece i personaggi, le loro espressioni, la gestualità del loro corpo.

Impiego molto tempo, e molti schizzi, per decidere quale sia la posa giusta in una data vignetta. Mi piace cercare di far “parlare” il corpo, di comunicare attraverso la posizione degli arti o della testa non solo l’azione ma anche lo stato d’animo. Detesto le pose rigide; anche la curvatura delle spalle può esprimere slancio o spossatezza, entusiasmo o rassegnazione.

Non sempre ci riesco. A volte costringo me stesso ad imbarazzanti autoscatti ripetuti più volte anche quando si tratta di ritrarre personaggi femminili. Oppure trascorro ore, quando non giornate intere, su internet a cercare foto adatte e foto da adattare. Di solito è un lavoro noioso anche questo, a me piace fare andare la matita ma devo confessare di non essere ancora riuscito ad affrancarmi del tutto dal supporto fotografico. Non mi piace ricalcare. Il mio metodo consiste nel disegnare davanti al monitor, nello spazio ristretto tra la tastiera e il bordo del tavolo; il mouse a portata di mano per ingrandire un particolare quando necessario.

Altro dettaglio che amo curare è l’abbigliamento femminile. Anche in questo caso cerco di ispirarmi non solo al mio gusto personale, ma anche all’ambiente in cui l’azione si svolge (casa, ufficio, etc.) nonché a quello che vedo nelle vetrine, oppure addosso alle ragazze per strada. Chi mi accompagna di solito fraintende il mio interessamento per gambe e scollature; e cercare di giustificarsi parlando di riflessi sul nylon o di panneggio di solito serve solo a complicare le cose. Non sempre si possono scattare fotografie alle vetrine, e ancor meno, per carità, ai passanti per strada. Cerco di memorizzare il maggior numero di dettagli possibile anche se poi è un esercizio limitato ad un lasso di tempo piuttosto breve.

Non so quanto di questo lavorio sopravviva poi ai vari rifacimenti o alle diverse farsi del ripasso. In definitiva, quando arrivo alla fine di una vignetta, non sono più in grado di giudicare la sua efficacia espressiva; quasi sempre, infatti, tendo a discostarmi dal modello fotografato per ragioni che riguardano la capacità di imitare ciò che si vede oppure il normale adattamento alle esigenze della storia. Il disegno finale risulta spesso una sorta di collage di pose ed espressioni captate e rielaborate a partire da fonti diverse, fino a quando io stesso non sono più in grado di dire da dove sia partito.

Mi limito a valutare obiettivamente il risultato e, spesso, a sperare per il meglio. Qualche volta ritorno su una vignetta anche a distanza di molti giorni, per rifare una espressione o aggiustare uno sfondo troppo tirato via.

So perfettamente che genere di fumetto voglio ottenere; ben altro conto poi è ottenerlo. Mancanza di esperienza, di metodo e di tempo (le solite scuse, insomma) mi portano spesso a riflessioni e ripensamenti che allungano i tempi di lavoro; del tempo passato al tavolo da disegno, duole ammetterlo, solo un trenta percento scarso è dedicato al disegno vero e proprio. Ancor meno se pensiamo a quelle vignette che riescono ad arrivare fino in fondo concorrendo a formare la tavola finita. Ci sono molti schizzi che finiscono nella spazzatura, e un numero ancora maggiore che, cancellatura dopo cancellatura, viene progressivamente sostituito dal disegno definitivo.


In questo disegno alla ragazza viene offerto un fiore da una figura che deve restare nascosta. C'è un braccio maschile sopra la sua spalla destra, e una mano (o quel che ne resta) dal lato opposto. Questo perché, aldilà della posa di lei che mi piace abbastanza, non ho ancora deciso in che maniera introdurre il fiore nella vignetta. Per ora le due soluzioni coesistono; difficile dire per quanto tempo continueranno a contendersi lo spazio disponibile. Vedremo.

Verrebbe da chiedersi se tutto questo non sia un segnale di insicurezza da parte mia. Ed io rispondo affermativamente, senza alcuna difficoltà in merito. Il fumetto richiede una precisa tecnica ed un attento lavoro di preparazione, ma io tendo ad affrontarlo invece con un trasporto che nulla ha di tecnico. Non scrivo mai la sceneggiatura, non preparo i layout; tengo la storia nella testa e la metto su carta vignetta dopo vignetta, lasciando che siano i personaggi a stabilire i tempi d’azione. Non a caso, in questo mio ultimo lavoro, non sono ancora in grado di dire se riuscirò a stare sotto le otto tavole, come credo, oppure se dovrò sfruttarle tutte. E sapete una cosa? Mi piace così. In questo modo la storia resta flessibile e duttile fino all’ultimo istante, i personaggi mantengono il controllo della storia e io lascio loro l’agio di muoversi nella pagina come meglio credono. Solo che di tanto in tanto sono obbligato a richiamarli all’ordine, e indicare loro alcuni spazi vuoti da riempire per forza, oppure obbligarli ad usare qualche parola in meno per esprimere il medesimo concetto.

Non sempre obbediscono, ma alla fine un accordo lo troviamo comunque.

Nessun commento:

Posta un commento